“Casa, luogo degli affetti primari, guscio accogliente e protettivo"
Relazioni che uccidono, storie di vittime e di carnefici
“Focolare domestico”, “casa dolce casa”, siamo certi sia sempre così?
Per tante, troppe donne, e per i loro figli, ancora oggi la casa è tutto fuorché il luogo nel quale sentirsi protette, nel quale finalmente godere dell’affetto dei propri cari e del meritato riposo.
Per loro, vittime di violenza domestica, la casa è una prigione nella quale vivono a stretto contatto con il loro aguzzino.
Quell’uomo che hanno scelto, che credevano le amasse e che invece non sanno mai se allungherà una mano per accarezzarle o per prenderle a schiaffi.
Uomini capaci di massacrare,
con pugni, calci, morsi, tirar loro i capelli fino strapparne intere ciocche, le donne che dicono di amare, quelle donne che ritengono di loro proprietà e che trattano come cose, come oggetti da poter rompere in mille pezzi.
I 1000 pezzi in cui ne frantumano l’anima e i desideri, prima, i 1000 pezzi in cui riducono i loro corpi, poi.
Che non tollerano la loro autonomia e indipendenza.
Che le odiano tanto quando provano a liberarsi dal loro giogo e che le odiano ancor di più quando ci riescono.
Che le umiliano con frasi indecenti.
Che le privano di tutto ciò che per loro è importante, la loro famiglia, le passioni, gli hobby, gli amici.
Che non amano vederle ridere.
Che non amano vederle felici del proprio lavoro, desiderose e capaci di studiare, ballare, cantare, dipingere, di esprimersi, di viaggiare.
La violenza domestica e di genere sono fenomeni trasversali,
potremmo dire quasi egualitari, indifferenti per età, nazionalità, condizione socio-economica e livello di istruzione di vittime ed aguzzini.
Sono fenomeni che mietono molte altre vittime oltre le donne che le subiscono: i figli ed i familiari di queste donne, impotenti quando le proprie mamme, figlie e sorelle, si ostinano a non cogliere i primi segni di pericolo, giustificano o negano le aggressioni ed il comportamento patologico di quell’uomo che vogliono a tutti i costi amare, impotenti quando quell’uomo li ha oramai per sempre privati della presenza vitale delle loro mamme, figlie, sorelle.
Figli e figlie che non conoscono il bello dell’amore di una mamma e di un papà innamorati, sereni, accudenti e rispettosi.
Figli e figlie che impareranno che si può essere solo vittime o carnefici.
Non basta più commemorare le vittime, non basta più accusare il patriarcato.
Quegli uomini sono figli tanto dei loro padri quanto delle loro madri.
Quegli uomini sono, spesso, l’espressione di un’educazione sbagliata, dell’odio verso sé stessi.
Non sono stati educati a riconoscere le proprie emozioni, i propri sentimenti, a dar loro un nome ed un contenuto, a capire quando e come contenerli e quando e come esprimerli, a capire come gestire la frustrazione dei propri voleri e desideri.
Che un uomo che soffre per amore, che piange, che ha paura, non è un debole.
A capire che la rabbia, la frustrazione, vanno affrontate, non sfogate.
Non sono stati educati al dialogo, al confronto, al rispetto di sé, al rispetto degli altri.
Non basta più commemorare le vittime, non basta più accusare il patriarcato.
Quegli uomini sono figli tanto dei loro padri quanto delle loro madri, ripeto.
Occorre, quindi, ri-educare i violenti, sono ancora troppo pochi i programmi ed i centri che se ne occupano.
Occorre, quindi, educare i nostri figli e le nostre figlie a vivere in modo sano emozioni e sentimenti: amore, rabbia, tristezza, gioia… insegniamo loro a riconoscerle e gestirle, ad impegnarsi per migliorare sé stessi e non per distruggere gli altri, a prediligere il dialogo al muro contro muro, ad accettare i no, a riconoscere i limiti da non travalicare, ad accettare la sconfitta e la frustrazione che ne deriva, facendone spunto per migliorarsi e non giustificazione per le proprie mancanze.
Occorre insegnare loro che i conflitti di idee, di opinioni, le incomprensioni, non giustificano mai la violenza.
Che le persone, gli amici, gli amori, non si possiedono e non ti devono possedere.
Che l’amore non mortifica, non percuote, non uccide.
Partiamo da qui.
Monica Carta
Avvocato – Mediatrice Familiare
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